Anche gli uomini hanno “l’orologio biologico”?

Pubblicato il 13 novembre 2020

Quando si parla di orologio biologico, generalmente si intende l’intervallo di tempo durante il quale la donna sarà fertile e, quindi, in grado di concepire.

Man mano che passano gli anni, più ci si avvicina alla menopausa, più diminuiscono le probabilità di riuscire ancora a concepire.
Tuttavia, non si tratta solo di un problema femminile, in quanto l’orologio biologico esiste anche per l’uomo

Orologio biologico: cosa significa

In realtà, in concetto di orologio biologico è molto più ampio di quello che si pensa comunemente e nasce dall’osservazione di come molti organismi varino il loro comportamento sulla base di un ritmo giornaliero. A partire dalla metà del secolo scorso i biologi hanno condotto delle analisi più approfondite, scoprendo che esistono all’interno degli organismi viventi dei veri e propri sistemi di misurazione, che sono stati definiti, appunto, orologi biologici: nacque così la cronobiologia.

Gli orologi biologici esistono negli esseri umani ma anche nei vegetali e negli animali e scandiscono i ritmi con un periodo di oscillazione simile a quello del giorno astronomico (ritmo circadiano) oppure corrispondente ad altri fenomeni naturali come le maree (ritmo circatidale), delle fasi lunari (ritmo circalunare) e delle stagioni (ritmo circannuale).

età uomo fertilità

Il ciclo mestruale, per esempio, con la sua periodicità media di 28 giorni sembra corrispondere al ritmo circalunare.
Il termine di orologio biologico associato alla fine della fertilità femminile è stato, dunque, preso in prestito dalla biologia: fu un articolo pubblicato nel 1978 dal Washington Post a sdoganare un termine tecnico e a renderlo noto al grande pubblico, tanto che attualmente viene utilizzato più facilmente con il nuovo significato rispetto a quello originario.

Orologio biologico: esiste anche per l’uomo

Il fatto che per molti anni si sia sovente pensato che l’uomo fosse in grado di procreare più a lungo della donna probabilmente è stato forse alimentato dallo stesso pregiudizio che voleva la donna unica responsabile dell’infertilità.

Un pregiudizio atavico, nutrito dall’idea che essere fertili per il maschio fosse sinonimo di virilità e segno di potenza.
Fin dalle società più primitive, infatti, la capacità di procreare e di avere una stirpe ha avuto una necessità pratica: quella di perpetrare la sopravvivenza del genere umano.

Studi recenti hanno invece portato alla luce il fatto che non è solo la donna ad avere un tempo limitato della sua vita in cui procreare, ma anche per l’uomo la capacità riproduttiva si riduce progressivamente con l’età.
I casi celebri in cui uomini avanti con l’età sono diventati padri sembrano dunque ridimensionarsi a casi sporadici piuttosto che la regola.

Infertilità maschile ed età: che relazioni hanno

Negli ultimi anni gli studi scientifici hanno rilevato un incremento di casi di infertilità piuttosto preoccupante ed esso sembra interessare anche gli uomini.
Una delle probabili cause sembra essere legata all’aumento delle età media in cui si cerca il concepimento per la prima volta.

Le mutate condizioni socioeconomiche oggi spingono sempre più coppie a ritardare il momento in cui diventare genitori, con il rischio concreto di avere maggiori difficoltà a concepire.

Per quanto riguarda la donna è risaputo che dopo i 35 anni la probabilità di rimanere incinta diminuisce sensibilmente, anche a causa della riduzione della riserva ovarica.
Già alcuni anni prima della menopausa, in genere, la capacità ovulatoria è ridotta al minimo, di conseguenza dopo i 45 anni diventa molto improbabile riuscire a concepire.

Per gli uomini, i segnali sono molto meno evidenti anche se, ormai, è provato che la produzione di sperma con il passare degli anni non solo diminuisce di quantità, ma anche di qualità.

  • Con l’aumentare dell’età dell’uomo diminuisce la probabilità di concepire: in uno studio pubblicato nel 2000 dalla rivista Human Reproduction si dimostrerebbe che l’età paterna avanzata può rendere più difficile il concepimento e ritardarlo sensibilmente. Secondo i dati dello studio, per un uomo con più di 40 anni raggiungere il concepimento entro un anno di tentativi sarebbe del 30% più difficile rispetto a un uomo con meno di 30 anni. Uno studio britannico analogo, pubblicato nel 2003, dimostrerebbe che uomini con età superiore ai 45 impiegano a concepire un tempo circa 5 volte maggiore rispetto a quello impiegato da un ragazzo con meno di 25 anni. 
  • Con l’aumentare dell’età dell’uomo la qualità spermatica si riduce notevolmente: se anche si riesce a raggiungere il concepimento, l’avanzata età paterna può essere comunque problematica, a causa di una scarsa qualità dello sperma. Difetti morfologici o frammentazioni del DNA dello sperma possono essere molto pericolosi per la salute del feto, ma anche della mamma. Sembrano essere infatti collegati a scarsa qualità spermatica situazioni in cui si sono verificati aborti spontanei, preeclampsia, diabete gestazionale o parto pretermine. Inoltre, i bambini con padre superiore ai 45 anni hanno maggiori probabilità di avere problemi cardiaci ed epilessia. Anche l’autismo sembra presentarsi più facilmente quando l’età paterna è più avanzata.

Pertanto, gli uomini sopra i 40 anni che desiderano un figlio dovrebbero sottoporsi a una visita andrologica e valutare i rischi con lo specialista. Potrebbe essere richiesto anche uno spermiogramma per valutare la qualità spermatica.

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