Con gli ultimi aggiornamenti delle tariffe dei LEA, la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) è ufficialmente entrata a far parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), segnando un passo importante per molte coppie italiane che si trovano ad affrontare problemi di fertilità. Grazie a ciò, le tecniche di PMA sono ora considerate prestazioni sanitarie essenziali, con costi regolamentati e uniformati su tutto il territorio nazionale.
Ma l’accesso a questi trattamenti non è senza condizioni. Uno degli elementi centrali stabiliti dai nuovi LEA riguarda infatti l’età della donna, un parametro che incide profondamente sia sulla possibilità di ottenere i trattamenti a carico del Servizio Sanitario Nazionale, sia sulle probabilità di successo delle procedure.
Mentre in precedenza ciò era regolamentato dalle singole regioni, ora sono stati stabiliti dei criteri validi su tutto il territorio nazionale.
L’inclusione della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) rappresenta una novità storica per il sistema sanitario italiano. Fino al 2024, l’accesso alla PMA attraverso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) era fortemente limitato: ogni Regione adottava criteri diversi, imponendo restrizioni su età, numero di tentativi e tipologia di tecniche disponibili, con profonde disparità territoriali.
Dal 2025, con l’entrata in vigore del nuovo decreto tariffe, la PMA è formalmente riconosciuta come prestazione essenziale. Questo significa che le coppie hanno diritto ad accedere ai trattamenti di fecondazione assistita a condizioni stabilite su scala nazionale, riducendo l’impatto delle differenze regionali che in passato costringevano molte persone a migrare da una Regione all’altra per curarsi.
Il nuovo quadro normativo stabilisce inoltre che la PMA sia erogata a tariffe definite: non più trattamenti a costi variabili e spesso proibitivi, ma un sistema regolato che prevede il pagamento di un ticket modulato sulla base della prestazione richiesta e della fascia di reddito del paziente, come accade per le altre prestazioni sanitarie specialistiche.
Questo cambiamento, se attuato correttamente, promette di ampliare l’accesso alla PMA, abbattendo le barriere economiche e restituendo a molte coppie la possibilità concreta di intraprendere un percorso di genitorialità assistita senza essere gravate da costi insostenibili.
Con l’inserimento della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) nei LEA, il decreto ha stabilito regole chiare riguardo ai criteri di accesso, ponendo limiti precisi legati all’età. In particolare, l’età massima della donna per poter accedere ai trattamenti a carico del Servizio Sanitario Nazionale è stata fissata a 46 anni.
Questo significa che le donne fino al compimento del 46° anno di età possono richiedere l’accesso ai cicli di fecondazione assistita erogati dal SSN, sia per le tecniche di PMA omologa (ovuli e spermatozoi della coppia) sia per quelle di PMA eterologa (con donazione di gameti esterni).
Oltre al limite di età, il decreto ha introdotto anche un vincolo sul numero massimo di tentativi consentiti:
Le motivazioni alla base di queste soglie si fondano su evidenze scientifiche. Numerosi studi indicano che la probabilità di successo della PMA diminuisce progressivamente con l’aumentare dell’età materna, mentre aumentano i rischi legati alla gravidanza per madre e bambino. Stabilire un limite di età e un numero massimo di cicli serve quindi non solo a garantire l’efficacia dei trattamenti, ma anche a tutelare la salute delle donne e dei nascituri.
Naturalmente, la definizione di questi criteri non cancella le complessità individuali. Ogni caso deve essere valutato attraverso una consulenza medica personalizzata, che tenga conto della storia clinica della coppia, delle condizioni di salute della donna e delle reali possibilità di successo del trattamento.
L’età è uno dei fattori che più influenzano l’esito dei trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita. L’efficacia delle tecniche, infatti, non dipende solo dalla qualità dei centri o dal protocollo utilizzato, ma anche dalla riserva ovarica, dalla qualità degli ovociti e dalla condizione generale della paziente — tutti aspetti strettamente legati all’età biologica.
Nelle donne più giovani, in particolare sotto i 35 anni, le probabilità di successo per ciclo di PMA sono generalmente più elevate. A questa età, le ovaie tendono a rispondere meglio alla stimolazione ormonale, e la qualità degli ovociti consente una maggiore possibilità di impianto e gravidanza evolutiva. Anche i rischi ostetrici sono, in media, più contenuti.
Superati i 40 anni, invece, il quadro cambia sensibilmente. La fertilità naturale si riduce in modo fisiologico, e la PMA incontra maggiori difficoltà:
È proprio in questa fascia d’età che spesso si valuta il ricorso alla PMA eterologa, con donazione di ovociti da parte di una donna più giovane, quando il quadro clinico lo suggerisce.
Il limite dei 46 anni stabilito dai LEA non è quindi arbitrario, ma tiene conto di queste considerazioni cliniche, pur sapendo che ogni storia riproduttiva è unica. Per le donne che si avvicinano a questo limite, la tempestività nella diagnosi e nell’inizio del percorso diventa fondamentale.
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