Crioconservazione del tessuto ovarico: le probabilità di gravidanza a termine

Pubblicato il 14 Settembre 2021

Una delle domande a cui gli studi scientifici provano a rispondere riguarda le probabilità di gravidanza a termine quando si utilizzano tecniche di medical freezing e, in particolare, la crioconservazione del tessuto ovarico.

La crioconservazione del tessuto ovarico rappresenta oggi un ottimo metodo di preservazione della fertilità, consigliato quando si è colpiti da patologie oncologiche o da altre malattie che possono mettere a rischio la fertilità, come l’endometriosi.

In particolare, la crioconservazione del tessuto ovarico è indicata per quei casi in cui non è possibile la stimolazione ovarica, ovvero nelle pazienti oncologiche e nelle ragazze in età prepuberale.

L’incidenza del cancro è in aumento e, in corrispondenza, si rileva un maggiore tasso di sopravvivenza, soprattutto grazie ai miglioramenti nelle diagnosi precoci e nelle cure.

Radioterapia e chemioterapia sono trattamenti oggi ampiamente utilizzati grazie alla loro efficacia. Tuttavia, possono avere conseguenze permanenti, tra cui l’infertilità. Proprio per questo motivo la crioconservazione del tessuto ovarico si presenta come una soluzione particolarmente efficace.

Gravidanze a termine dopo crioconservazione tessuto ovarico: gli studi scientifici

A distanza di alcuni anni dalle prime gravidanze messe in atto grazie a questa tecnica, sono stati proposti degli studi per valutare le probabilità di gravidanza a termine in seguito a crioconservazione del tessuto ovarico.

Probabilità di gravidanza – Campagna del Cavolo

In particolare, uno studio [1] pubblicato nel febbraio del 2020 ha analizzato i dati degli articoli scientifici presenti nelle library Cochrane e Medline tra il gennaio 2004 e il dicembre 2019.

La data iniziale è stata stabilita a partire dal primo caso [2] di nato vivo dopo autotrapianto di tessuto ovarico crioconservato.

Sono stati presi in considerazione i casi che rispondessero ai seguenti requisiti:

  • Le pazienti erano donne con patologie oncologiche;
  • Erano state sottoposte a crioconservazione di tessuto ovarico;
  • Successivamente avevano subito autotrapianto del tessuto crioconservato;
  • La gravidanza ha avuto esito positivo con parto vivo.

L’analisi di tali studi dimostra che oggi sono sempre più numerosi i Centri in tutto il mondo in cui viene proposta la crioconservazione del tessuto ovarico; tuttavia, sono ancora percentualmente pochi i casi in cui viene effettivamente realizzato l’autotrapianto del tessuto ovarico.

Inoltre, non sempre i risultati negativi vengono riportati nelle pubblicazioni: tutto ciò rende più difficile avere dati precisi che possano servire a identificare una percentuale di successo della procedura.

Tra gli studi citati nella ricerca, uno studio danese[3] del 2015, che ha monitorato i trapianti di tessuto ovarico crioconservato realizzati su 41 donne in Danimarca, avrebbe dimostrato che la funzionalità del tessuto ovarico può persistere fino a 10 anni e la possibilità di successo di una gravidanza per chi utilizza questa tecnica sarebbe di una su tre.  

Un altro studio pubblicato [4] da Jacques Donnez sempre nel 2015, relativo a 60 nati vivi in seguito a trapianto di tessuto ovarico crioconservato, riporta una percentuale di successo del reimpianto di circa 25%. In questo caso si parla di una durata media della funzione ovarica dopo il trapianto di 4-5 anni.

Confrontando i vari risultati, secondo gli esperti sarebbe, dunque, possibile ipotizzare una percentuale di successo compresa tra il 25% e il 30%.

Le tecniche utilizzate per la crioconservazione del tessuto ovarico

Nei casi presi in esame dagli studi, le pazienti riportavano prevalentemente neoplasie maligne linfoproliferative e neoplasie maligne mammarie.

L’intervento di prelievo del tessuto è stato effettuato nella maggior parte dei casi tramite laparoscopia, che rappresenta la tecnica più appropriata, in quanto non richiede apertura della parete addominale, come avviene, invece per la laparotomia.

Per quanto riguarda la tecnica di congelamento, nello studio si osserva come nella maggior parte dei casi sia stato utilizzato il congelamento lento. Tuttavia, ci sarebbero studi [5] che dimostrano come la vitrificazione può essere utile per prevenire la formazione di cristalli di ghiaccio, oltre al fatto che consente di conservare una maggiore quantità di tessuto ovarico.

Infine, anche la tecnica di trapianto è da tenere in considerazione: nella maggior parte dei casi in oggetto è stata utilizzata la tecnica di trapianto ortotopico. Ciò significa che è stato reimpiantato il tessuto nella sede anatomica dell’ovaio. L’altra tecnica di trapianto eterotopico prevede invece il reimpianto del tessuto in altra sede anatomica come il tessuto sottocutaneo dell’avambraccio o la parete addominale.

Nel caso di trapianto ortotopico di tessuto ovarico il vantaggio più interessante riguarda il fatto che può avvenire il concepimento naturale senza necessariamente l’utilizzo di tecniche di riproduzione assistita, anche se si può comunque scegliere di prelevare gli ovociti e procedere con la fecondazione in vitro.

Crioconservazione del tessuto ovarico: una tecnica sempre più all’avanguardia

Molti studi sono ancora in corso per le tecniche che riguardano la crioconservazione del tessuto ovarico.  

La maggior preoccupazione in questo senso sono le probabilità di reimpiantare cellule maligne che potrebbero far riprendere l’avanzare della malattia che si trova in fase regressiva. Proprio per questo, al momento, è sconsigliato usare questa tecnica per alcune patologie oncologiche, come il tumore all’ovaio, che hanno un’alta probabilità di recidiva.

L’utilizzo sempre più ampio della crioconservazione del tessuto ovarico e la crescente disponibilità dei dati in seguito al follow up saranno senza dubbio d’aiuto per perfezionare la tecnica e aumentare le probabilità di successo a fronte di una diminuzione del rischio.

[1]  https://gremjournal.com/journal/02-2020/live-birth-rate-after-ovarian-tissue-cryopreservation-followed-by-autotransplantation-in-cancer-patients-a-systematic-review/

[2]  https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15488215/

[3] https://academic.oup.com/humrep/article/30/12/2838/2380179

[4] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4554373/

[5] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25567618/

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