La raccolta del tessuto ovarico e la sua crioconservazione rappresentano una tecnica piuttosto recente di conservazione della fertilità. Essa viene utilizzata sempre più frequentemente in caso di patologie oncologiche o in presenza di patologie croniche come l’endometriosi.
In particolare, si tratta del metodo di preservazione della fertilità più consigliato nel caso in cui non possano essere ritardate le cure oncologiche. L’alternativa a questo trattamento, infatti, è rappresentata dalla crioconservazione degli ovociti. Tuttavia, in questo secondo caso, è necessaria la stimolazione ovarica che richiede una determinata tempistica e obbliga il prelievo in una fase specifica del ciclo mestruale. Di conseguenza, porterebbe a ritardare l’inizio delle cure oncologiche.
La raccolta e la crioconservazione del tessuto ovarico rappresentano una tecnica avanzata attraverso la quale viene effettuato un prelievo del tessuto di una o di entrambe le ovaie e crioconservato.
Il prelievo viene effettuato tramite biopsia per via laparoscopica e il materiale prelevato è crioconservato in azoto liquido.
Nel momento in cui la situazione di salute generale lo permetta, il tessuto criocongelato può essere scongelato e reimpiantato per riportare la capacità riproduttiva alle condizioni precedenti i trattamenti oncologici: spesso, infatti, le cure come la chemioterapia o la radioterapia, per quanto efficaci e indispensabili nella cura della malattia, possono indurre l’infertilità o comunque rendere più difficile il concepimento.
Durante l’asportazione del tessuto ovarico, finalizzata alla crioconservazione dello stesso, vengono prelevati frammenti di corticale dell’ovaio, che è un’area periferica dell’ovaio stesso, collocata al di sotto dell’epitelio ovarico. Qui sono contenuti i follicoli e gran parte degli ovociti.
Il reimpianto può avvenire nello stesso punto dell’ovaio da cui è avvenuto il prelievo (sito ortotopico) oppure in un altro punto (sito eterotopico).
In chirurgia, con il termine trapianto ortotopico, che etimologicamente significa “luogo chiuso” dal greco τόπος «luogo», si intendono quei trapianti o innesti che avvengono nel luogo naturale.
Al trapianto ortotopico, si contrappone il trapianto eterotopico, che etimologicamente significa “altro luogo” dal greco ἕτερος, ἑτερο- «altro, diverso» e τόπος «luogo», ed è riferito invece ai trapianti che avvengono, invece, al di fuori della sede naturale.
Anche nel caso del tessuto ovarico, il reimpianto può essere ortotopico oppure eterotopico.
Nel caso del trapianto ortotopico, il tessuto prelevato viene reimpiantato all’interno della cavità pelvica, ovvero nell’ovaio da cui era stato asportato. In questo modo, viene ripristinata sia la funzione ormonale sia quella riproduttiva. Ciò significa che il ciclo mestruale può riprendere e possono ritornare le condizioni precedenti alla malattia.
Teoricamente, in seguito a un trattamento per la conservazione della fertilità di questo genere è possibile che avvenga il concepimento spontaneo, se l’apparato riproduttivo non ha subito danni di qualche genere o se non ci sono stati interventi che hanno limitato l’attività riproduttiva.
Si tratta del sistema consigliato quando si desidera preservare la fertilità con l’obiettivo di avere un bambino in quanto è quello che offre maggiori garanzie di successo.
Attualmente, circa la metà dei bambini nati con questo metodo di conservazione della fertilità sono stati concepiti naturalmente, mentre l’altra metà con fecondazione artificiale.
Il reimpianto eterotopico del tessuto ovarico avviene, invece, quando il tessuto conservato viene collocato in una sede diversa rispetto a quella da cui è stato prelevato.
In genere, vengono scelte delle sedi dove è garantita una buona vascolarizzazione e che siano semplici da raggiungere per recuperare gli ovociti prodotti, come nell’addome o nell’avanbraccio.
Si tratta di aree che hanno un ambiente che consente lo sviluppo degli ovociti ma, poiché è fisiologicamente diverso da quello preposto allo sviluppo follicolare, talvolta la qualità degli ovociti può essere scadente e, comunque, inferiore a quella degli ovociti prodotti in condizioni di normalità.
Nel momento in cui avviene il trapianto eterotopico, la funzionalità ormonale viene ripristinata, tuttavia non è possibile che avvengano concepimenti spontanei.
Quando la paziente desidera tentare il concepimento, è necessario prelevare gli ovociti prodotti dalla sede in cui si trovano e utilizzare tecniche di procreazione assistita.
Glil studi effettuati fino ad ora suggeriscono come sia molto difficile ottenere e portare a termine una gravidanza dopo un reimpianto di questo genere proprio per la scarsa qualità degli ovociti e, di conseguenza, degli embrioni che verrebbero generati.
Per quanto riguarda, invece, la funzionalità endocrina, i risultati ottenuti finora dimostrano che, indipendentemente dal tipo di trapianto, si può ottenere una buona ripresa in circa il 90-95 % dei casi e ciò si può realizzare in un arco temporale di pochi mesi, rimanendo nelle stesse condizioni per 4-5 anni[1].
La crioconservazione del tessuto ovarico come tecnica di preservazione della fertilità può avere due obiettivi:
Infatti, oltre al desiderio di diventare genitori, può esserci l’esigenza di salvaguardare la produzione ormonale, la quale influisce sulla salute e sul benessere generale.
Quando le ovaie vengono danneggiate, per esempio dalle terapie, può esserci una alterazione della produzione di alcuni ormoni importanti, come gli estrogeni o il progesterone, pertanto può poi essere necessario ricorrere a terapie ormonali sostitutive.
Anche la menopausa anticipata può essere una conseguenza e può incidere sulla salute della donna. Il tessuto ovarico sano prelevato prima dell’inizio delle cure e reimpiantato può ripristinare la normale funzionalità endocrina con alte percentuali di successo e migliorare la qualità della vita della donna anche in modo indipendente dal desiderio di concepire.
[1]https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26210678/
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