L’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) rappresenta un passo importante per il diritto alla salute in Italia, soprattutto per le coppie che si trovano ad affrontare problemi di fertilità. Con l’inclusione della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) tra le prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), l’accesso a questi trattamenti dovrebbe essere più equo, senza le disparità economiche e geografiche che in passato hanno reso il percorso difficile per molti.
Tuttavia, nonostante le intenzioni di questa riforma, l’attuazione pratica del decreto presenta ancora diverse incognite. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il decreto è stato temporaneamente sospeso dal TAR del Lazio a fine dicembre 2024, per poi essere riammesso pochi giorni dopo. Ad oggi, però, non ci sono ancora certezze definitive su come le Regioni stiano recependo le nuove disposizioni e su quali saranno gli effetti concreti per le coppie che desiderano accedere ai trattamenti di PMA.
Cosa significa questo per chi sta cercando una gravidanza con il supporto della fecondazione assistita? Quali vantaggi porta questa riforma e quali ostacoli restano ancora da superare?
Con la pubblicazione del decreto tariffe, la PMA è ufficialmente riconosciuta come prestazione essenziale garantita dal SSN. Questo significa, almeno in teoria, che ogni coppia con problemi di fertilità ha diritto a un accesso ai trattamenti di fecondazione assistita, indipendentemente dalla regione in cui risiede.
Tra le principali novità, il provvedimento prevede che le coppie possano accedere alla PMA tramite l’Assistenza Sanitaria Nazionale con costi standardizzati e tariffe definite: si tratta di un grande passo in avanti, che permette di eliminare le disparità economiche del passato. Le tecniche di PMA ammesse potranno essere sia omologhe sia eterologhe, ovvero sia con gameti della coppia sia con gameti donati, e i trattamenti verranno eseguiti ambulatorialmente, con il ricovero previsto solo in caso di necessità legate alle condizioni di salute.
Inoltre, l’età massima per accedere ai trattamenti è stata fissata a 46 anni: in passato, in relazione a questo aspetto, c’erano parecchie differenze tra le regioni, tali da creare situazioni di iniquità: basti pensare che in Umbria il limite era fissato a 42 anni, mentre in Veneto arrivava a 50 per le donne e 65 per gli uomini.
Un altro aspetto importante della riforma riguarda il numero di cicli garantiti: a partire da quest’anno potranno essere eseguiti fino a sei trattamenti.
Sulla carta, questo aggiornamento rappresenta un importante passo avanti per garantire un sistema più equo e accessibile. Tuttavia, per una corretta applicazione pratica ci vorrà ancora parecchio tempo. Al momento, infatti, non è chiaro se tutte le strutture sanitarie abbiano già adottato il nuovo sistema tariffario e come verranno gestiti i trattamenti in corso.
L’idea alla base della riforma è semplice: garantire un accesso equo alla PMA, eliminando le barriere economiche e le differenze di trattamento tra le varie regioni. Questo dovrebbe portare a una maggiore tutela per le coppie che finora hanno dovuto affrontare costi proibitivi e liste d’attesa lunghissime.
Uno degli aspetti più significativi è proprio la fine delle disuguaglianze regionali, che fino a oggi hanno costretto molte coppie a viaggiare da una parte all’altra dell’Italia per trovare strutture pubbliche che offrissero il trattamento a prezzi sostenibili. L’accesso gratuito o con ticket standardizzato potrebbe finalmente ridurre il fenomeno del cosiddetto turismo procreativo, permettendo alle persone di trovare soluzioni adeguate vicino a casa.
Tuttavia, l’ottimismo su questi cambiamenti è temperato da una serie di problemi ancora irrisolti, che potrebbero rendere l’applicazione della riforma più complessa del previsto.
Sebbene il decreto stabilisca il diritto di accesso ai trattamenti su tutto il territorio nazionale, attualmente la distribuzione dei centri specializzati non è omogenea. I centri pubblici attualmente sono 94 a cui si aggiungono 27 centri privati convenzionati, contro i 191 privati non convenzionati. Inoltre, in molte regioni del Sud e delle Isole, il numero di cicli effettuati è ancora ben al di sotto degli standard europei, il che significa che molte coppie potrebbero continuare a essere costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate.
Un altro punto critico riguarda i tempi di attesa, che potrebbero aumentare proprio a causa dell’ampliamento della platea di persone che potranno accedere ai trattamenti. Senza un’adeguata organizzazione, il rischio è che si creino lunghe liste d’attesa, con la conseguente necessità per alcune coppie di ricorrere alla fecondazione assistita all’estero, sfruttando la normativa sulle cure transfrontaliere.
L’eterologa, in particolare, rappresenta un punto dolente a causa del costo dell’acquisto di gameti dall’estero. Alcune regioni, come Emilia-Romagna e Lombardia, hanno già investito per creare banche regionali di gameti, mentre altre potrebbero trovarsi in difficoltà nell’adeguare la propria offerta.
A tutto questo si aggiunge il fatto che manca un sistema di monitoraggio e valutazione chiaro, che possa garantire che i nuovi LEA vengano realmente applicati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Senza un controllo efficace, potrebbero emergere discrepanze nelle modalità di erogazione del servizio, rendendo difficile per le coppie orientarsi all’interno del sistema sanitario.
Di fatto, comunque, la procreazione assistita potrebbe non essere completamente gratuita.
A seconda del tipo di trattamento, i costi potranno variare sensibilmente: in particolare, la fecondazione eterologa avrà con ogni probabilità dei costi ancora piuttosto elevati, in quanto l’acquisto dei gameti, spesso provenienti dall’estero, da parte delle strutture sanitarie attualmente è molto oneroso. Il ticket per procreazione assistita omologa dovrebbe, invece, essere contenuto e accessibile a tutti, o addirittura gratuito, senza più disparità tra le regioni.
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