L’insorgenza di tumori premenopausa mette il paziente di fronte a una duplice sfida: se affrontare la malattia può essere destabilizzante, la conservazione della fertilità, per chi desidera avere un figlio, è un tema altrettanto importante.
I tumori, e soprattutto quelli che hanno influenza sulla sfera ormonale, non colpiscono solo le donne in menopausa, ma possono presentarsi anche in età ancora fertile.
Il percorso terapeutico può, infatti, avere importanti conseguenze sulla fertilità e ridurre le possibilità di procreare. La crioconservazione del tessuto ovarico rappresenta un’ottima opportunità come metodo di preservazione per pazienti oncologici.
I tumori in età giovanile non sono così rari come si potrebbe pensare. Anzi, secondo uno studio americano pubblicato sulla rivista Jama Network Open[1], che ha preso in esame un campione di oltre 500 mila individui di età compresa tra i 15 e i 39 anni, i casi di tumore negli adolescenti e nei giovani adulti negli Stati Uniti sarebbero aumentati di circa un terzo. Secondo l’AIRC (Associazione Italiana sulla Ricerca sul Cancro) questi risultati sarebbero in linea con i dati europei.
Da una parte è possibile che i dati siano influenzati dalle tecniche di diagnosi precoce, che oggi permettono di identificare il problema più precocemente. Tuttavia, è probabile che l’aumentare dei casi di tumore sia un dato reale, forse in concomitanza con fattori ambientali, inquinamento e stili di vita poco sani, che possono influire negativamente sull’insorgenza di tumori precoci in giovane età.
In tema di fertilità, è interessante rilevare che i tumori più diffusi tra i giovani sono proprio quelli che hanno relazione con la sfera ormonale. Sempre secondo lo studio americano, il tumore al seno rappresenta la tipologia di cancro femminile più frequente e, in particolare, tra le pazienti con meno di 50 anni. Mentre per quanto riguarda i giovani uomini, la patologia più frequente è il tumore ai testicoli.
In Italia, i dati del Ministero della Salute[2] confermano gli studi internazionali: nella fascia tra gli 0 e i 49 anni, il tumore al seno è il più frequentemente diagnosticato (40%).
La conservazione della fertilità per chi deve affrontare un percorso terapeutico di tipo oncologico è molto importante. Tuttavia, per molte donne, anche se desiderano un figlio, la maternità rischia di passare in secondo piano di fronte a una diagnosi tumorale.
Affrontare il tema della preservazione della fertilità non solo è importante per potere poi effettivamente avere un figlio, ma, da un punto di vista psicologico, è un grande aiuto per la paziente.
Quando il medico presenta la possibilità di adottare tecniche per la conservazione della fertilità, trasmette un messaggio positivo alla paziente, che le permette di puntare l’attenzione sul post-malattia.
Le terapie oncologiche, come radioterapia e chemioterapia, se oggi sono sempre più efficaci nella cura della malattia, possono però avere effetti collaterali che possono influire negativamente sulla fertilità e provocare menopausa precoci.
Per il tumore al seno spesso vengono utilizzate terapie ormonali, soprattutto come terapia adiuvante in seguito a un intervento chirurgico. In questi casi si tratta di una protezione da eventuali recidive: quando il tumore è estrogeno o progesterone positivo, significa che gli ormoni ne stimolano la crescita. Pertanto, dopo la rimozione del tumore vengono applicate delle terapie che servono a bloccare la produzione ormonale.
Se si è ancora in periodo fertile, la capacità endocrino riproduttiva può essere compromessa e, anche una volta terminate le cure, potrebbe essere più difficile riuscire a concepire.
All’interno delle tecniche di conservazione della fertilità, la crioconservazione del tessuto ovarico rappresenta senza dubbio un’ottima opportunità con alcuni importanti vantaggi rispetto ad altre tecniche.
Tra le tecniche di preservazione della fertilità femminile, si distinguono:
La crioconservazione del tessuto ovarico, rispetto alla crioconservazione degli ovociti, si presenta particolarmente consigliata in due situazioni:
È consigliabile prevalentemente per pazienti con età inferiore ai 35-40 anni, in quanto la riserva ovarica, dopo quell’età, si riduce sensibilmente e potrebbe non essere sufficiente a garantire una gravidanza. Tuttavia, le singole situazioni verranno valutate dal medico curante che saprà decidere, caso per caso, quando questa tecnica è consigliata. In alcune patologie ad alta probabilità di metastasi ovariche potrebbe non essere consigliata a causa del rischio di reimpiantare la malattia assieme al tessuto ovarico[3], anche se i progressi medico scientifici rendono questa tecnica sempre più sicura.
[1] https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2773343
[2] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_3897_4_file.pdf
[3] https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2018/11/2018_LG_AIOM_PreservFertil.pdf
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