Durante la gravidanza, assieme alla pancia, lentamente crescono anche le paure.
Sebbene la nostra società tenda a classificare la paura come una emozione negativa, non lo è affatto. Anzi, è una utilissima protezione che ci ha permesso nei secoli di evolverci e di diventare quello che oggi siamo.
La paura è un istinto naturale funzionale all’autoconservazione. Nel momento in cui la futura mamma inizia a realizzare concretamente che entro breve nascerà un bambino tende a spostare l’attenzione da sé stessa verso di lui e verso la sua protezione. È normale, quindi, che crescano le paure, persino quelle che possono sembrare ingiustificate.
Nel corso del tempo, prima in gravidanza e poi in seguito quando già si sarà genitori, le paure si modificano, cambiano e si adattano alle nuove situazioni.
Del resto, in assenza di paure sarebbe molto difficile focalizzare l’attenzione su ciò che è veramente importante e, immersi in una nuova situazione, si rischierebbe di dimenticare le priorità, con grave rischio per il neonato che non è ancora in grado di badare a sé stesso.
Per contro, è anche importante saper guidare le paure e imparare a valutare di volta in volta se il rischio è concreto oppure se si tratta solo di eccessiva apprensione, potenziata magari dalla propria fantasia o dalla percezione comune. Anche l’eccessiva paura può creare confusione e mettere a rischio l’incolumità del bambino.
Ogni gravidanza e ogni maternità sono una storia a sé, le cui caratteristiche sono condizionate da un insieme di fattori che coinvolgono la mamma e il bambino. Esperienze passate positive e negative, carattere, possibili difficoltà o complicazioni possono rendere la gravidanza più o meno piacevole e influire sulle paure della neomamma.
Di conseguenza ogni neomamma vive una situazione personale diversa dalle altre, persino qualora lei stessa dovesse di nuovo vivere una gravidanza.
Tuttavia, alcune paure sono piuttosto comuni e nascono da una necessità fisiologica di proteggere il bambino.
La paura più comune e ancestrale riguarda la salute del bambino ed è anche la prima che si manifesta. Del resto, nel momento in cui si viene a conoscenza della gravidanza, la priorità per la futura mamma è quella di portare a termine nel migliore dei modi la gravidanza, dando alla luce un bambino sano.
Se nel primo trimestre si teme una interruzione della gravidanza, ciò è giustificato dai dati scientifici che dimostrano come circa il 90% degli aborti spontanei si verifichi proprio in quella fase.
Nel secondo trimestre, periodo in cui si formano gli arti e gli organi e il feto che comincia ad assumere le sembianze di un bambino, è più facile che le paure si concentrino sul rischio di malformazioni.
Infine, nel terzo trimestre l’attenzione si sposta su due aspetti della paura del parto: i rischi per sé e per il bambino e sull’idea, che diventa sempre più reale e concreta, che presto si sarà responsabili di un nuovo essere umano.
È proprio in questo momento che inizia un altro tipo di paura, legata alla responsabilità genitoriale. Se le nelle prime fasi della procreazione si dà prevalenza alla salute, è perfettamente normale che nel momento in cui i neogenitori si preparano a interagire con il neonato si interroghino sul loro ruolo e sulle loro capacità di gestire un altro essere umano, soprattutto quando si tratta della prima gravidanza.
Il senso di inadeguatezza si può riversare in diversi tipi di paura: la paura di non avere latte materno, per esempio, così come la paura di far male al bambino o, più in generale, di non essere una buona mamma.
Anche queste paure nascono da una attenzione verso il bambino che la natura ci instilla in modo del tutto sensato: il latte materno per secoli ha rappresentato l’unico nutrimento possibile per il bambino, al punto che la sua stessa sopravvivenza poteva dipendere dalla quantità e ricchezza del latte materno. Anche oggi, sebbene ci siano ottimi surrogati, poter nutrire il bambino con il proprio latte rappresenta la soluzione ideale. Inoltre, il neonato è delicato e non è ancora in grado di muoversi autonomamente. Fin quando non si sarà del tutto saldata la fontanella, le cadute saranno ancora più rischiose: approcciarsi a lui con la giusta cura e attenzione è senza dubbio una salvaguardia importante del suo corpo.
Man mano che il bambino cresce, certe paure si attenuano ma ne nascono di nuove. Se il bambino sta bene e cresce senza destare preoccupazioni, in genere l’attenzione si sposta verso ansie e timori che hanno meno a che vedere con la salute e la fisicità e che sono più legate all’educazione.
Anche in questo caso può giocare un ruolo importante la propria autostima e la capacità di contrastare il senso di inadeguatezza che nasce spontaneamente al pensiero di educare il bambino e di fornirgli le basi necessarie per renderlo autonomo.
Se la paura della maternità è una condizione del tutto normale, è altrettanto vero che una errata gestione delle paure può essere altrettanto pericolosa quanto il non avere paura.
Il bambino fin da quando si trova nell’utero materno percepisce lo stato ansioso nella mamma e può a sua volta viverlo su di sé. Dopo la nascita e man mano che crescerà sentirà ancora di più quando la mamma è spaventata e potrebbe trarne un senso di insicurezza.
Tuttavia, impedirsi di provare paura, oltre che impossibile, è del tutto controproducente perché la paura se viene soffocata, si amplifica. Quindi, quando si ha paura la prima cosa da fare è accettare la paura cercando di interpretarla per quello che è: un ottimo sistema per proteggere il proprio bambino.
In genere, già l’accettazione della paura contribuisce a calmarla e a riportare lo stato di tensione nella normalità. Questo permette anche di capire che il più delle volte le paure sono momentanee e strettamente legate alla situazione che si sta vivendo, ma cambieranno presto fino a svanire del tutto.
Un buon modo per superare l’ansia della maternità è quello di parlare delle proprie paure, rendendole così più leggere da affrontare. In particolare, condividere queste insicurezze con il partner ha tutta una serie di lati positivi, che vanno dalla suddivisione della responsabilità, al senso di compressione reciproca fino alla condivisione del proprio vissuto.
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