Fecondazione assistita: si può revocare il consenso dopo la separazione?

Pubblicato il 26 Febbraio 2021

Revocare il consenso alla fecondazione assistita, anche dopo la separazione, non si può: questo è ciò che hanno stabilito le due ordinanze del Tribunale in Santa Maria Capua a Vetere in un caso giudiziario nel quale una donna intendeva proseguire nel tentativo di gravidanza tramite fecondazione assistita, nonostante il rifiuto del partner.

Si tratta di due pronunce molto importante che certamente faranno discutere non solo per le implicazioni giuridiche che portano con sé, ma anche per i temi sociali ed etici che investono.

Le Ordinanze del Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere

Le ordinanze sono giunte in questi giorni e hanno scosso il mondo della medicina della riproduzione e della PMA, tecnica a cui sono sempre più numerose le persone che accedono.

I due partner, che avevano iniziato nel 2018 l’iter per la fecondazione assistita tramite crioconservazione degli embrioni, si sono separati. Quindi, l’uomo si sarebbe opposto alla richiesta della donna, oggi single, di procedere con il trasferimento di blastocisti crioconservate.  

La donna è stata difesa dall’Avv. Prof. Gianni Baldini e dall’Avv. Rosaria Zema, che si sono appellati alla legge 40/2004 sulla PMA .
L’art. 6 comma 3 della legge, infatti, prevede che il consenso alla PMA può essere revocato solo fino alla fecondazione dell’ovocita.

revoca fecondazione assistita

Pertanto, la corte ha ritenuto che la richiesta della donna fosse accettabile e, dopo l’ordinanza favorevole del Tribunale monocratico, la pronuncia è stata confermata anche dal tribunale in composizione collegiale, nonostante la contrarietà del marito.

Il tribunale ha, dunque, riconosciuto il diritto assoluto della donna di utilizzare gli embrioni creati con il partner e crioconservati, anche nel momento in cui il rapporto di coppia sia terminato con la pronuncia della separazione personale e nonostante l’uomo intendesse revocare il consenso alla fecondazione assistita.

I motivi delle ordinanze

La decisione del Tribunale, in applicazione dell’art. 6 della legge 40/2004, si basa su due assunti: la tutela del diritto alla vita e allo sviluppo dell’embrione e il principio di autoresponsabilità. Infatti la prestazione del consenso al trattamento sanitario di PMA che ha portato alla creazione e poi alla crioconservazione della blastocisti non costituisce solo autorizzazione all’esecuzione di un atto medico ma anche assunzione di uno status genitoriale (che si perfeziona con la fertilizzazione in vitro) che non potrà più essere rimesso in discussione . Una volta avvenuta la fecondazione, infatti, non è più possibile revocare il consenso.  

Il fatto che poi, in un secondo momento, subentrino situazioni nuove, come quelle che hanno portato alla separazione e alla fine del rapporto di coppia nel caso in oggetto, sono, dunque, irrilevanti a livello giuridico. Sebbene non esista più il progetto genitoriale che la coppia intendeva intraprendere, ciò non fa venir meno la responsabilità che i due partner hanno assunto nel momento in cui hanno dato il consenso alla fecondazione assistita. Pertanto, la donna potrà proseguire nel trasferimento della blastocisti e tentare la gravidanza. Allo stesso tempo l’ex-partner, nel caso in cui la gravidanza vada a buon fine, sarà riconosciuto come legittimo padre e risponderà conseguentemente di tutti gli obblighi morali e materiali relativi alla paternità.

Perché questa pronuncia è molto importante

Al di là di come la si pensi e al netto delle polemiche che susciterà, questa ordinanza costituirà senza dubbio un importante precedente nella giurisprudenza del nostro Paese. È la prima volta è un tribunale italiano si trova a dover decidere su un tema spinoso come quello della revoca del consenso alla fecondazione assistita in seguito a una separazione.

Tuttavia, è probabile che nel corso del tempo possano essere sempre più frequenti casi di questo genere.

Le tecniche di fecondazione assistita sono sempre più utilizzate per permettere alle coppie con problemi di fertilità di diventare genitori. Ciò porta con sé implicazioni di tipo legale e morale, soprattutto quando la crioconservazione degli embrioni differisce nel tempo rispetto al momento dell’impianto in utero.

Attualmente si calcola che oltre il 20% delle coppie soffra di problemi di infertilità, motivo per cui sono in aumento le coppie che si rivolgono a tecniche di procreazione assistita. Anche il numero di separazioni, però, è in costante crescita: oggi si calcola che nei primi 5 anni di matrimonio si verifichino ben 4 separazioni su 10.

Si tratta dunque di un tema sempre più attuale a cui questa sentenza dà una prima importante risposta.  

Che cos’è la crioconservazione degli embrioni

La crioconservazione degli embrioni è una tecnica di procreazione assistita che permette di diventare genitori alle coppie con problemi di fertilità.

Si tratta di una tecnica di fecondazione in vitro durante la quale in laboratorio si procede alla fertilizzazione dell’ovocita, che viene inseminato con gli spermatozoi. È, dunque, una procedura che avviene al di fuori dell’utero materno: una volta avvenuta la fecondazione, inizia lo sviluppo dell’embrione. Da questo momento l’embrione viene coltivato in laboratorio per alcuni giorni (da 2 a 6) durante i quali raggiunge lo stadio di blastocisti.  

Gli embrioni possono a questo punto essere impiantati nell’utero materno oppure crioconservati per un impianto differito nel tempo.

Questo è il momento in cui, secondo la legge 40/2004, viene meno la possibilità di revocare il consenso alla procreazione assistita, in quanto con la realizzazione della fecondazione e l’avvio dello sviluppo dell’embrione i soggetti assumono lo status genitoriale.

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