La crioconservazione del tessuto ovarico è una procedura consigliata a quelle pazienti che devono essere sottoposte a trattamenti oncologici e che non escludono di voler concepire nel momento in cui la situazione si sia ristabilita e sia possibile intraprendere una gravidanza.
L’espianto e l’impianto del tessuto ovarico rappresentano due step fondamentali della procedura: molte donne, prima di sottoporsi a queste procedure, si chiedono come avvengano e quali conseguenze comportino.
La rimozione del tessuto ovarico prima dell’inizio del trattamento oncologico e il successivo trapianto di questo tessuto dopo il completamento della terapia sono diventate tecniche chirurgiche di preservazione della fertilità sempre più importanti.
Ecco come funzionano.
L’espianto del tessuto ovarico avviene attraverso un intervento chirurgico, nella maggior parte dei casi per via laparoscopica.
A differenza di ciò che avviene con la crioconservazione degli ovociti, non è necessaria stimolazione ovarica e la procedura può essere effettuata in qualsiasi momento del ciclo mestruale.
Le tecniche utilizzate per l’espianto possono essere diverse per quanto riguarda la procedura ma anche per quel che riguarda la quantità di tessuto asportato.
Nella maggior parte dei casi viene prediletta la via laparoscopica: si tratta di una chirurgia definita mini-invasiva in quanto avviene tramite piccole incisioni e strumentazioni ad alta definizione.
Evitare il taglio permette di avere tempi di recupero più rapidi, oltre al fatto che è una procedura con un rischio molto contenuto.
Per quanto riguarda, invece, la quantità di tessuto asportato, alcuni centri specializzati scelgono di rimuovere circa un terzo o due terzi dell’ovaio mentre in altri casi viene asportata un’intera ovaia. Ci sarebbero anche casi in cui vengono esportati brandelli di tessuto di pochi millimetri.
Studi attuali dimostrerebbero che è sufficiente rimuovere una parte dell’ovaio, tuttavia, è necessario che lo spessore della corteccia ovarica rimossa sia di almeno 1-1,5 mm, in quanto i follicoli primordiali sono situati a una profondità di circa 0,8 mm. Se l’asportazione è troppo superficiale, c’è il rischio che nel tessuto utilizzato non ci sia alcun follicolo[1].
Infine, un ulteriore elemento da tenere in considerazione è rappresentato dalla possibilità di effettuare l’espianto durante un altro intervento chirurgico. In linea di massima, questa procedura può essere eseguita per chi soffre di endometriosi durante l’intervento per la rimozione del tessuto in eccesso. In altri casi, può essere effettuata durante la rimozione di miomi, ovvero neoformazioni benigne, e durante la cromotubazione, che è un intervento che si svolge quando vi sono ostruzioni delle tube.
Una volta esportato, il tessuto può essere criocongelato e conservato per alcuni anni, fino al momento in cui si desideri procedere al reimpianto.
Il reimpianto del tessuto ovarico può avvenire attraverso due metodologie: il trapianto ortotopico e il trapianto eterotopico.
Il trapianto ortotopico è una procedura in base alla quale il tessuto viene reimpiantato nella stessa sede dalla quale è stato prelevato: in linea di massima ciò avviene sulla parte di ovaio rimasta dopo la precedente asportazione del tessuto oppure nell’ambiente uterino.
In questo modo, il ripristino dell’attività ormonale è completo e ciò potrebbe portare persino a una gravidanza naturale, indotta da un concepimento spontaneo. Questo avviene in quanto l’apparato riproduttivo, se non ha subito danni durante le cure oncologiche, può riprendere in toto la sua attività e, quindi, può essere in grado di concepire spontaneamente.
Si parla di trapianto eterotopico quando esso avviene al di fuori della sede originaria da cui il tessuto è stato prelevato. L’ideale è scegliere dei punti del corpo dai quali è poi più semplice procedere al prelievo degli ovociti.
Infatti, proprio perché il trapianto non avviene nella sede naturale non è possibile che la fecondazione sia spontanea ma sarà necessario prelevare gli ovociti e reimpiantarli attraverso fecondazione assistita.
In genere, vengono scelti siti come il tessuto sottocutaneo del braccio, dell’addome oppure della schiena. Una volta reimpiantato il tessuto inizierà la nuova produzione di ovociti che potranno poi essere riutilizzati nel momento in cui si desidera procedere con la fecondazione assistita.
Oltre al trapianto ortotopico e al trapianto eterotopico, per completezza va detto che esiste anche una terza tipologia, ovvero il trapianto eterologo. Ciò avviene nel caso in cui il trapianto venga effettuato su una paziente che ha perso la funzionalità ovarica, per esempio a causa di trattamenti oncologici. In questo caso il tessuto viene prelevato da una donatrice. Attualmente si tratta di una procedura altamente sperimentale ostacolata dal fatto che la consistenza ovarica delle donatrici spesso non è sufficiente. In alcuni studi si è evidenziato come ci possano essere risultati soddisfacenti quando donatrice e ricevente sono sorelle, in particolare sorelle gemelle.
Come in tutte le operazioni chirurgiche, anche l’espianto del tessuto ovarico non è del tutto esente da rischi. Possono verificarsi sanguinamenti, infezioni o altre conseguenze dell’anestesia, soprattutto se non viene eseguito in via laparoscopica. Tuttavia, i rischi sono piuttosto contenuti e non devono spaventare chi desiderasse sottoporsi a questa procedura.
Per quanto riguarda il reimpianto, i rischi sono legati a una recidiva della malattia ma sono molto limitati in quanto vengono effettuate tutte le analisi necessarie per scongiurare la presenza di cellule cancerogene nei tessuti.
Infine, potrebbero esserci conseguenze legate alla rivascolarizzazione dei tessuti dopo il reimpianto con perdita del tessuto e necessità di procedere a un nuovo impianto.
[1] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5065421/
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