In questi ultimi tempi, il nostro paese sembra aver perso il suo ritmo naturale di rinnovamento generazionale. C’è una silenziosa e inesorabile crisi che si fa strada, e si chiama denatalità. L’Italia, con un tasso di natalità che appena supera l’unità, sta affrontando una sfida che va oltre il semplice calo delle nascite. Negli ultimi quindici anni, abbiamo visto una diminuzione del 32% delle nascite, mettendo l’Italia tra i paesi con i tassi di natalità più bassi in Europa.
La nostra posizione in questo triste ranking è penultima, con la Spagna e Malta come uniche a farci sentire meno soli in questa crisi demografica. La media europea, anche se non raggiunge il tasso di sostituzione di 2,1 figli per donna necessario per garantire l’equilibrio demografico, è comunque più alta rispetto alla nostra, attestandosi a 1,5 figli per donna[1]. Nonostante un piccolo incremento rispetto all’anno precedente, la tendenza generale continua a essere in calo, facendoci riflettere sulla gravità del problema.
La denatalità non è solo un problema personale che riguarda la decisione di una coppia di avere o non avere figli. Si tratta di una sfida collettiva, una questione che tocca l’intera società: la diminuzione del numero di nascite significa un invecchiamento della popolazione, un onere sempre maggiore per il sistema sanitario e previdenziale e una pressione insostenibile sulle spalle della forza lavoro giovane.
[1] Dati Eurostat 2022
Il declino della natalità non è un fenomeno nuovo: se si confrontano i dati del numero di nuovi nati ogni anno in Italia, si può osservare come il numero si sia ridotto del 44% tra il 1953, quando ci furono 839 mila nascite circa, e il 2016, con solo 473 mila.
Tuttavia, durante questo lungo periodo ci sono stati momenti di crescita della natalità, in particolare dal ’53 al ’64, quando con il boom economico si superò il milione di nascite, e momenti di importante decrescita. In particolare, a un vero proprio crollo delle natalità tra il 1974 e il 1987 seguì una lieve ripresa culminata nel 2008. Da quell’anno in poi, purtroppo, il calo delle nascite non si è più arrestato: non solo si è scesi sotto la soglia psicologica del mezzo milione ma, nel 2022, si è scesi addirittura sotto le 400 mila unità.
Senza dubbio, le cause della denatalità in Italia sono numerose e complesse, oltre che spesso autoalimentate. La decrescita realizzatasi a partire dalla seconda metà degli anni Settanta ha i suoi effetti anche sulle nascite attuali, in quando ha fatto diminuire sensibilmente il numero di adulti in età per diventare genitori.
Di fatto, uno degli elementi che maggiormente influisce sul calo della natalità è dovuto alla mutata struttura demografica: il numero di potenziali madri si è ridotto a causa da una parte dell’uscita dall’età riproduttiva delle generazioni molto numerose nate all’epoca del baby-boom, dall’altra dall’ingresso in età fertilità di contingenti di donne sempre meno numerosi.
Tuttavia, su questo quadro di per sé poco confortante, si innescano delle altre dinamiche che ostacolano la ripresa demografica.
Negli ultimi decenni, si è assistito a un progressivo aumento dell’età media al primo figlio. Ciò significa che le coppie iniziano a ricercare il concepimento quando sono meno giovani. Nel 2021[1] l’età media delle donne al primo figlio supera in quasi tutte le regioni d’Italia i 31 anni. Questo fenomeno è dovuto a diversi fattori, in cui uno dei principali è legato all’istruzione prolungata, tanto che il 76,6% delle donne che hanno partorito nel 2021 risulta avere una scolarità medio alta. Ciò porta conseguentemente a uno spostamento in avanti dell’ingresso nel mondo del lavoro. Rispetto al passato si registra anche una maggiore instabilità lavorativa che, a sua volta, causa un ritardo nella maternità. L’età avanzata nella ricerca del primo figlio può avere una serie di effetti negativi sulla natalità, tra cui il maggior rischio di non riuscire a concepire e la riduzione del numero totale di figli avuti da una coppia.
[1] Dati ISTAT 2022
La crisi economica, l’aumento del costo della vita e la precarietà lavorativa rappresentano importanti ostacoli per molte coppie che desiderano avere figli. Il costo della casa, dell’istruzione, e la necessità di garantire un futuro stabile ai figli possono dissuadere molte persone dall’avere figli, o quantomeno ridurre il numero di figli che intendono avere.
La denatalità attuale sembra poi avere avuto un ulteriore crescita a causa degli effetti della pandemia. Il primo rapporto del Gruppo “Demografia e Covid-19”[1], pubblicato a fine 2020, ha infatti analizzato come il periodo covid abbia accelerato la tendenza al declino della popolazione, già in atto dal 2015. Anche in questo caso le difficoltà economiche e la precarietà sembrano aver influito sulla decisione di avere un figlio, tanto più che proprio le categorie in condizione di maggiore provvisorietà, soprattutto giovani e immigrati, sono state quelle più frenate.
[1] https://famiglia.governo.it/media/2671/secondo-report_gde-demografia-e-covid-19_finale.pdf
In molte società moderne, conciliare le esigenze di una carriera con quelle di una famiglia può essere una sfida significativa. Oggi per motivi economici e grazie al mutamento culturale anche le donne scelgono di lavorare, con l’obiettivo non solo di avere uno stipendio per sostenere la famiglia, ma anche di avere soddisfazione personale e, laddove possibile, fare carriera. In particolare, nel nostro paese le politiche sociali, ancora troppo deboli, non stanno offrendo un sostegno sufficiente a contrastare la denatalità.
La mancanza di supporto istituzionale, come la disponibilità di asili nido a prezzi accessibili e politiche di maternità/paternità adeguate, spingono anche coloro che desiderano avere i figli ad attendere un momento migliore, provocando un aumento dell’età nella ricerca di un figlio. Pertanto, il tasso di infertilità cresce e il rischio di non riuscire ad avere figli è più consistente.
Nei casi più estremi e nelle fasce della popolazione più disagiate, la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro può addirittura dissuadere molte persone dall’avere figli.
Un altro elemento che sembra contribuire alla denatalità è la diminuzione della fertilità, sia negli uomini che nelle donne. Negli ultimi decenni, numerosi studi hanno indicato una tendenza al calo della fertilità maschile, con una riduzione del numero e della qualità degli spermatozoi. Anche la fertilità femminile è influenzata da vari fattori, tra cui l’età, le condizioni di salute, l’ambiente e lo stile di vita.
Inoltre, va tenuto in considerazione che l’aumento dell’età al primo figlio può incidere sulla fertilità. Con il passare del tempo, sia gli uomini che le donne subiscono un declino naturale della fertilità, anche se l’effetto è generalmente più pronunciato nelle donne.
Infine, sulla riduzione della fertilità hanno un effetto importante anche i fattori ambientali e lo stile di vita. L’esposizione a certe sostanze chimiche, una dieta non equilibrata, il fumo, l’abuso di alcool e lo stress possono tutti influire negativamente sulla fertilità di uomini e donne. Anche se la portata di questi fattori può variare da individuo a individuo, essi rappresentano un ulteriore ostacolo per le coppie che desiderano avere figli.
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