Nonostante 7 giovani su 10 dichiarino di voler avere idealmente almeno due figli, la realtà italiana rimane segnata da un preoccupante calo delle nascite. Nel 2021 sono nati solo 399 mila bambini, minimo storico dall’Unità d’Italia con il tasso di natalità sceso a 1,25 figli per donna.
Dietro questo divario tra desiderio riproduttivo e sua realizzazione, vi sono ostacoli culturali e socioeconomici difficili da rimuovere. In primis, le donne continuano a sostenere il carico maggiore della genitorialità, tanto che quasi l’80% teme ripercussioni lavorative dall’avere un figlio.
Inoltre, l’età media in cui si diventa madri nel 2021 sfiorava i 32 anni, circa 5 anni in più rispetto alle madri dei Paesi scandinavi. Ritardare troppo la genitorialità riduce poi le chance riproduttive e la possibilità di avere più figli.
Insomma, tra incertezze economiche, difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia e posticipo dell’età fertile, ribaltare il crollo demografico appare impresa ardua.
Che cosa sta avvenendo in Italia sul piano della natalità o, meglio, della denatalità?
I dati parlano chiaro: il nostro paese fa sempre meno figli e la popolazione autoctona è in preoccupante declino demografico. Nel 2022 sono nati solo 393 mila bambini, il numero più basso mai registrato. Se nel 2008, si è registrato un picco di nascite, che ha superato le 570 mila unità, da allora il declino è stato costante e inesorabile fino alla recente discesa sotto quota 400 mila. Se si considera che, invece, nello stesso anno si sono registrati oltre 710 mila decessi l’anno, è evidente come il saldo demografico sia in negativo.
Parallelamente, gli italiani invecchiano: l’età media sale a 46,4 anni e gli over 90 oggi si attestano attorno alle 800 mila unità. Per ogni under 6 si contano 5,6 over 65, quando nel 1971 vi era un sostanziale pareggio.
Uno sbilanciamento sempre più evidente se si calcola che, secondo le proiezioni prodotte da ISTAT, nel 2070 i novantenni saliranno a oltre due milioni.
Se la tendenza non verrà invertita, nei prossimi decenni l’Italia perderà 11 milioni di abitanti, scendendo dagli attuali 59 milioni a 48 milioni di residenti. Con effetti disastrosi su economia, spesa pensionistica e sanitaria.
Serve un radicale cambio di passo sul fronte del welfare familiare e delle politiche a sostegno della genitorialità, altrimenti la denatalità rischia di trascinare il paese verso un inarrestabile tracollo demografico.
Le ragioni del declino demografico in Italia sono complesse e si intrecciano in un tessuto di sfide economiche, sociali e culturali. Al centro di questa problematica vi sono soprattutto le difficoltà incontrate dalle giovani generazioni nel contesto lavorativo.
Uno degli ostacoli più significativi è rappresentato dalla sfida di entrare in un mercato del lavoro sempre più incerto. Con un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 23%, i giovani italiani si trovano di fronte a un futuro professionale instabile, rendendo difficile ogni progetto a lungo termine, inclusa la pianificazione familiare.
La precarietà lavorativa, caratterizzata da contratti a termine e da un’insicurezza economica costante, amplifica questa incertezza. Tale contesto non solo scoraggia la progettazione di una famiglia ma alimenta anche la rinuncia o il rinvio delle scelte riproduttive.
Un altro fattore critico è la difficoltà per le donne di conciliare maternità e carriera. In un paese dove la cultura lavorativa non è ancora pienamente inclusiva verso le esigenze delle madri lavoratrici, circa l’80% delle donne teme che la maternità possa rappresentare un ostacolo per il proprio percorso professionale. Questa preoccupazione porta molte donne a rimandare o a rinunciare alla maternità in favore della carriera.
Un altro fattore significativo nella crisi della natalità in Italia è il progressivo posticipo dell’età in cui le coppie decidono di sposarsi e di avere il primo figlio. L’età media per la prima gravidanza, che ora è attorno ai 32 anni, riflette la tendenza delle coppie a ritardare la genitorialità, spesso a causa delle incertezze economiche e professionali. Questo ritardo, tuttavia, porta con sé delle conseguenze biologiche non trascurabili: il rischio di infertilità aumenta con l’avanzare dell’età, soprattutto per le donne. Dopo i 35 anni, la fertilità femminile tende a diminuire più rapidamente, rendendo più difficile concepire. Questa realtà biologica, combinata con le sfide socioeconomiche, complica ulteriormente il quadro della denatalità in Italia. È quindi cruciale considerare le implicazioni mediche e biologiche del ritardo della genitorialità nel dibattito su come affrontare la crisi demografica.
Infine, l’assenza di un adeguato sistema di welfare e di politiche efficaci a sostegno della natalità e delle famiglie aggrava la situazione. A differenza di altri paesi europei, l’Italia mostra carenze nei servizi di supporto alle famiglie, come l’assistenza all’infanzia e misure che facilitino l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Senza un intervento mirato in queste aree, il sostegno alla genitorialità rimane insufficiente, contribuendo al persistente calo delle nascite.
La denatalità in Italia non è soltanto un dato statistico, ma un fenomeno con conseguenze profonde e a lungo termine che si riflettono su vari aspetti della società.
Il primo e più immediato impatto è demografico. La riduzione delle nascite contribuisce a un invecchiamento della popolazione, con un crescente sbilanciamento tra giovani e anziani. Questo squilibrio età ha ripercussioni non solo sulla composizione della popolazione, ma anche sulle dinamiche intergenerazionali e sulla cultura sociale.
Economicamente, una popolazione che invecchia porta con sé sfide significative. La forza lavoro si riduce, potenzialmente limitando la crescita economica. Secondo le previsioni, se il trend rimarrà inalterato, nel 2042 si potrebbe avere una perdita del Pil fino al 18%.
Inoltre, aumentano le spese per pensioni e assistenza sanitaria, mettendo sotto pressione i sistemi di welfare e di sicurezza sociale. In un contesto in cui ci sono meno lavoratori a sostegno di un numero crescente di anziani, il modello economico e sociale necessita di un adeguamento sostanziale: il rischio è che in un futuro non troppo lontano il costo delle pensioni non sia più sostenibile.
Le conseguenze si estendono anche al settore sanitario e dei servizi sociali. Con un numero maggiore di anziani, aumenta la richiesta di servizi sanitari e assistenziali specifici, richiedendo un adeguamento delle strutture esistenti e la creazione di nuove soluzioni per rispondere a queste esigenze.
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