Endometriosi e PMA, è possibile?

Pubblicato il 18 ottobre 2019

L’endometriosi è una patologia cronica, benigna, che può avere conseguenze importanti e diventare fortemente debilitante riducendo la qualità della vita di una donna.

È una malattia che coinvolge l’endometrio, ovvero il tessuto che avvolge la parte interna dell’utero. Questo tessuto fuoriesce dalla sua sede colonizzando altri organi come l’ovaio, l’addome e le tube, provocando dolore pelvico cronico con compromissione della riserva ovarica.

Colpisce circa il 10-15% delle donne in età fertile: generalmente la comparsa dei primi sintomi si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma può comparire anche più precocemente. Spesso la diagnosi può avere un ritardo di cica 10 anni.

Gli studi clinici rivelano che l’endometriosi è una delle cause più frequenti di infertilità femminile o di difficoltà nel concepimento: si calcola che ad oggi tra il 30% e il 40% delle donne infertili sia affetta da endometriosi.

Cos’è l’endometriosi.

L’endometriosi è una patologia che interessa le donne nell’età riproduttiva può manifestarsi precocemente poco dopo il menarca, per proseguire per tutta l’età riproduttiva.

I sintomi dell’endometriosi possono essere non specifici e non sempre facilmente interpretabili. Spesso la mancata attenzione nei confronti dei sintomi ostacola una diagnosi precoce, che è molto importante per evitare che la malattia cronicizzi e possa diventare invalidante.

Tra i sintomi dell’endometriosi vi sono:

  • dolori pelvici e addominali cronici;
  • mestruazioni molto dolorose; (dismenorrea)
  • dolori durante i rapporti sessuali; (dispareunia)
  • dolori durante la minzione e/o la defecazione; ( disuria e/o dischezia)
  • modifiche al regolare ciclo mestruale anche con perdite ematiche abbondanti; (metrorragie)
  • alterazioni ormonali.

La malattia si distingue in quattro fasi, che sono classificate sulla base della grandezza delle lesioni e del punto preciso dove esse siano collocate.

  • Stadio 1 e 2: ai primi due stadi le lesioni sono solamente superficiali, la cui grandezza di solito rimane al di sotto dei 3 cm. In questo caso, in genere non sono lesive per una possibile gravidanza.
  • Stadio 3 e 4: in queste fasi, le lesioni si presentano molto più profonde e nella maggior parte dei casi generano alterazioni nell’ovulazione. Tale situazione può protrarsi anche per tempi molto lunghi.

Quando l’endometriosi arriva al terzo o quarto stadio esistono due vie alternative personalizzabili a seconda dell’età e del quadro sintomatologico della paziente: l’intervento chirurgico o la fecondazione artificiale.

Endometriosi: chirurgia o fecondazione artificiale?

Se una donna affetta da endometriosi al terzo o quarto stadio desidera comunque concepire, la via naturale può risultare molto difficile. In alcuni casi si può tentare dopo aver subito un intervento chirurgico che riduca l’invasione del tessuto endometrioso negli altri organi. In altri casi, invece, si può scegliere la fecondazione artificiale.

La scelta dell’intervento chirurgico è un’opzione che si valuta quando l’endometriosi si presenta particolarmente dolorosa e invalidante, soprattutto se a seguito di terapie farmacologiche mirate non si sono registrati i miglioramenti desiderati.

Se l’operazione ha l’effetto positivo di ridurre sensibilmente i sintomi della patologia, è altrettanto vero che non si tratta di una soluzione definitiva in quanto spesso l’endometriosi può recidivare fino a richiedere un nuovo intervento. Inoltre, per quanto riguarda la maternità, in alcuni casi l’intervento può mettere a rischio l’integrità del tessuto corticale ovarico, soprattutto in presenza di cisti endometriosiche.

Per questo motivo nelle pazienti giovani non desiderose di una gravidanza l’opzione più indicata è quella della crioconservazione degli ovociti. Gli ovociti prelevati dalla donna saranno sottoposti a crioconservazione nell’attesa che la donna sia pronta per procedere con la fecondazione assistita.

Endometriosi: le tecniche di fecondazione assistita

Per potersi sottoporre alle tecniche di PMA, è indispensabile seguire terapie farmacologiche che hanno come scopo la stimolazione ovarica. Quindi verrà prelevato l’ovocita per poi procedere con la fecondazione in vitro.

Esistono due tecniche di fecondazione assistita per le donne affette da questa patologia:

  • fecondazione in vitro dell’ovulo (FIVET): il pre-embrione si forma in laboratorio durante l’incontro tra spermatozoi e ovociti e il trasferimento nell’utero materno avviene quando la fecondazione è già avvenuta.
  • Iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi (ICSI): prevede l’inserimento diretto dello spermatozoo nell’ovocita. Questo avviene tramite un’operazione che è molto simile ad una classica iniezione.

Entrambi questi sistemi vengono utilizzati dopo aver effettuato in laboratorio una serie di controlli. Infatti, gli embrioni che si formeranno in seguito alla fecondazione verranno analizzati con attenzione e classificati. I medici stabiliranno quali di questi saranno i migliori per essere impiantati nell’utero o eventualmente crioconservati.

Con il progredire della scienza in questo settore, oggi analisi dettagliate permettono di valutare l’embrione direttamente in vitro. Questo fornisce informazioni preziose sulla qualità dell’embrione stesso e permette una immediata individuazione di malattie genetiche o alterazioni strutturali dei cromosomi. 

La diagnosi preimpianto in questo senso è fondamentale ed ha permesso di raggiungere una percentuale di successo di circa il 70% dei trasferimenti di embrione nell’utero della donna.

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